I pollini allergenici sono rappresentati dai gameti maschili di piante ad impollinazione anemofila (non legata all’azione degli insetti impollinatori, ma determinata dal vento). L’allergenicità dei pollini è legata al loro peso (un polline pesante si deposita a terra e resta poco aerodisperso), alla quantità (piante che producono modeste quantità di polline generalmente sono poco allergeniche o danno solo “allergia di vicinanza”), e agli agenti climatici che determinano l’aerodispersione come il vento, l’umidità (è necessario un clima asciutto per la liberazione del polline), i moti convettivi. La piovosità di una stagione può influenzare molto l’aerodispersione, piogge frequenti non forti possono favorire la pollinazione mentre energici piovaschi la possono abbattere e ridurre drasticamente.

Nel nostro territorio (nord est della pianura Padana) i pollini più diffusi sono quelli delle graminacee e della betulla-nocciolo. Le graminacee fioriscono soprattutto nel mese di maggio e giugno mentre i pollini di betulla-nocciolo fioriscono più precocemente (marzo aprile soprattutto).

Gli ultimi 4 anni sono stati caratterizzati da alcune interessanti variabilità. Il polline delle graminacee ha cominciato ad essere disperso nell’aria a concentrazioni significative il 20 aprile nel 2021, il 12 aprile nel 2020, addirittura il 3 maggio nel 2019, e il 24 aprile nel 2018. Una differenza quindi di 20 giorni tra il 2020 e il 2019.  I picchi pollinici hanno raggiunto, sempre per le graminacee, valori di 155 granuli per metrocubo d’aria nel 2021, di 220 granuli nel 2020, di 113 nel 2019 e di 227 granuli nel 2018.

Da questo vediamo come la primavera 2019 sia stata completamente diversa per il paziente allergico rispetto alla primavera 2020.

La dispersione dei pollini di betulla-nocciolo è stata più lieve nel 2021 rispetto al 2020, anno in cui si sono verificati picchi di polline di nocciolo di 1100 granuli per metro cubo d’aria, con una presenza elevata anche nelle primavere 2019 e 2018.

A commento di questi dati va però aggiunto che la situazione è più complessa per quanto riguarda ogni singolo paziente affetto da queste allergie. Esiste infatti la possibilità che per effetti osmotici, il polline si “rompa” liberando granuli paucimicrobici più difficili da rilevare dai captatori di polline e in grado di dare importanti reazioni allergiche nel paziente sensibilizzato. Esiste poi l’effetto priming per cui nel paziente che ha già sintomi indotti dal polline sono necessarie quantità di polline meno elevate per dare disturbi rispetto a quelle necessarie a dare sintomi all’inizio della stagione. Inoltre, esistono altre variabili che possono favorire l’allergenicità di un polline legate all’ambiente come gli inquinanti. Il particolato esausto dei vecchi motori diesel, per esempio può aumentare l’allergenicità di alcuni pollini e può accadere come è stato ampiamente dimostrato, che individui che vivono in ambienti con maggiori quantità di polline ma poco inquinati abbiamo meno sintomi di pazienti che vivono vicino ai caselli autostradali o in zone ad elevato traffico veicolare.

I pazienti allergici ai pollini possono manifestare in varia percentuale sintomi con l’ingestione di alcuni alimenti di origine vegetale.

Questi sintomi vengono di solito inquadrati nella sindrome orale allergica caratterizzata da prurito orale comparsa di vescicolazioni sulla mucosa orale, o di vere e proprie afte. Questi sintomi si manifestano quasi immediatamente al contatto della mucosa orale con l’alimento incriminato e sono legati alla presenza di allergeni in comune tra il polline e l’alimento.

Questi allergeni in comune appartengono soprattutto alle famiglie allergeniche delle profilline e delle PR-10, proteine che di norma vengono inattivate nel loro potere allergenico dal calore (non sono presenti quindi negli alimenti vegetali cotti) e dalla digestione peptica (non arrivano intatte all’intestino e non sono assorbibili).

Gli alimenti in grado di dare la sindrome orale allergica differiscono in base alle varie famiglie polliniche verso le quali si può essere sensibilizzati.

Nel caso dell’allergia ai pollini delle betullacee-corylacee (betulla ontano carpino nocciolo) la sindrome orale allergica si manifesta con l’ingestione soprattutto di mela pesca ciliegia nocciola kiwi.

Negli allergici ai pollini delle graminacee (loglietto, gramigna, bambagiona, erba mazzolina) gli alimenti più spesso in causa sono il melone l’anguria il pomodoro le arachidi.

Gli allergici al polline delle compositae (artemisia soprattutto) possono avere sindrome orale allergica con miele, camomilla, sedano, finocchio.

Molti altri alimenti vegetali poi possono dare sintomatologia buccale, quelli che ho elencato sono i più comuni.

Esistono poi anche allergie crociate tra alimenti di origine animale e allergeni respiratori non pollinici ma in questo caso si tratta di allergeni che sono in grado di venire assorbiti e di dare sintomi sistemici, esulano quindi dalla sindrome orale allergica e saranno oggetto di un’altra comunicazione.